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04.10.04
No, non è il Vietnam...
George W. Bush in una conferenza stampa alla Casa Bianca affermava "Momento difficile, ma manderemo più truppe se necessario" e "L'Iraq non sarà il nostro Vietnam, finiremo il lavoro per la libertà". Era appena lo scorso aprile.
Due giorni fa, invece, Rumsfeld (il vero presidente USA) ha detto chiaramente che è giunto il momento di tornarsene a casa. Due giorni dopo il confronto televisivo Bush-Kerry. La forza dei sondaggi.
E se anche vincesse Kerry, cambiarebbe davvero qualcosa? Mi viene in mente un articolo letto su La Stampa qualche giorno fa ("I duellanti che si assomigliano troppo"). Lo riporto qui sotto.
I due duellanti che si assomigliano troppo
Dietro le battute aspre sono politici che fanno parte dello stesso club
LA sorte del dibattito si è decisa davvero nei primi dieci minuti. Kerry ha ricevuto, quasi in apertura, un colpo alla mascella sotto il peso del quale ha violentemente sbandato. Si è ripreso pochi minuti dopo, con negli occhi il lampo dell´alpinista che, i sensi avvertiti dal pericolo, vede una piccola sporgenza e vi si appiglia. Si è risollevato quasi senza crederci ancora e poi ha consolidato piano piano il suo vantaggio grazie soprattutto all´impazienza e a un pizzico di maleducazione del suo avversario, George Bush. E grazie anche un po’ alla disobbedienza delle telecamere che - in cauta ma non per questo meno visibile rivolta contro le regole stabilite (non si poteva inquadrare l´avversario durante l´intervento ) - hanno rivelato l´impazienza di Bush cogliendolo mentre «faceva» le faccette rese famose dal documentario di Moore
. Tuttavia, quella di Kerry non è stata una vittoria travolgente. Il senatore di Boston è apparso rigido e un po’ denso - nel suo gesticolare come nel suo eloquio. E, soprattutto, in un momento molto significativo - il siparietto sul carattere reciproco, che hanno giocato come uno scambio di cortesie - i due sono apparsi per quello che sono: gente della stessa razza, due ricchi insomma , più simili tra loro che a tutti noi. Vediamo questa trama nel dettaglio. Bush assesta il primo colpo, e molto presto. Il vecchio Jim Lehrer, icona della Pbs, la televisione pubblica, che ha gestito l´appuntamento con la serenità avuncolare degli anchor della sua generazione (ormai quasi tutta sparita, per ragioni di età) ha tirato la moneta e ha iniziato - con un sovvertimento delle cosiddette regole del racconto televisivo - partendo dal cuore del problema: «Senatore Kerry, Lei crede che potrebbe fare un lavoro migliore di quello fatto il Presidente Bush nel prevenire attacchi terroristici agli Stati Uniti?». Era la madre delle domande - il dibattito da quel momento non ha avuto quasi più storia. Kerry risponde con le giuste parole, ma senza vibrazioni, come un compito da svolgere, «ho un migliore piano su questo, su questo e su questo....»; la replica di Bush è più energica: in fondo è il Presidente in carica e sulle stesse questioni ha il vantaggio di elencare non quello che farà ma quello che ha già fatto. E su questa onda di realtà si chiude il primo giro: il Presidente avverte questo vantaggio, si rilassa e si prepara con rinnovata carica per la prossima domanda - che è perfetta per il suo stato d´animo. «Lei pensa che la elezione di Kerry aumenterebbe il rischio per gli Stati Uniti di subire altri attacchi come quello dell´11 Settembre?», chiede Lehrer. E´ la teoria di Bush, e forse la sicurezza che questa domanda gli infonde è l´elemento che lo sbilancia: "Non credo che ci sia questa possibilità. Perchè sarò io a vincere", dice, e fa il suo affondo introducendo il suo principale argomento contro Kerry: «Il miglior modo di vincere è non dubitare mai». A quel punto il discorso si arricchisce di aggettivi quali «forte», «risoluto», «deciso» , «stabile». Sotto il fuoco di fila di queste definizioni, Kerry, al momento della replica, sa solo balbettare: «No, io credo di essere forte, risoluto e determinato», una sorta di autocertificazione di forza che sa, al contrario, di debolezza.
Kerry tocca qui la sua maggiore difficoltà, e non sono passati nemmeno dieci minuti. Bush capisce il vantaggio e continua a martellare sul tema centrale della oscillazione fra varie posizioni di Kerry, e tenta di finirlo implicandolo nella gestione della guerra: «Il mio sfidante ha visto la stessa intelligence che ho visto io, e anche lui nel 2003 ha detto che Saddam era un grave pericolo per il mondo, e che il mondo è migliore senza Saddam». Aggiunge un velenoso passaggio sul modo «vecchio» di ragionare di Kerry, definendolo «una mentalità pre 11 settembre».Schiacciato sotto le sue contraddizioni, Kerry trova il guizzo della ripresa: non ero contrario alla guerra, e non nego di essere contro Saddam - replica - ma è il modo che non funziona. I due slogan più efficaci partono qui: «Non si porta l´America in guerra senza un piano per vincere la pace. Non si mandano soldati americani in guerra senza che abbiano i giubbetti antiproiettile di cui hanno bisogno». Questo è proprio il punto debole di Bush - come dicono tutti i sondaggi: non tanto la guerra, quanto il modo come questa è gestita. Kerry capisce di aver toccato terreno solido, si rimette in piedi e passa a quello che è forse l´unico argomento di cui parla con calore: i soldati in guerra. E´ il suo passato, è la sua storia, racconta di genitori che hanno mandato i giubbetti antiproiettili ai figli in Iraq come regalo di compleanno. Bush comincia ad irritarsi. E nella irritazione - ripresa dalle maliziose telecamere - sbuffa, si agita e fa gli occhietti. L´irritazione lo fa sembrare anche scortese quando risponde. E´ lì che comincia la sua discesa. L´impazienza del Presidente si esplicita poi anche su altri temi della politica internazionale: Cina, Darfur, relazioni con gli Alleati. Specie sulle questioni della proliferazione delle armi nucleari e Nord Corea a un certo punto risponde a Lehrer: «Ma questo l´ho già spiegato». Con il risultato che fa fare a Kerry la figura del grande esperto e del grande diplomatico. E´ grazioso Bush invece quando gli viene chiesto di indicare il principale difetto del suo avversario. Scarta le critiche, sceglie la strada signorile della lode e della stima: i due, quando rompono le righe della lotta politica, in fondo vivono nello stesso quartiere e fanno parte dello stesso club. Nell´insieme quella di Kerry è una vittoria. L´Iraq e il Vietnam dopotutto si sono rivelati buoni cavalli di battaglia. Ma è una vittoria non definitiva: Bush è stato messo in difficoltà ma non distrutto, nonostante fosse proprio l´Iraq il suo fianco scoperto. Persa questa occasione sarà difficile rimetterlo all´angolo nei prossimi due dibattiti.
Copyright ©2004 La Stampa 02/10/2004
Posted by Peter Kowalsky at 04.10.04 09:40
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